La Didattica di Evolution


a cura di Paola D'Agostino


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Storie di Fossili Ceresini


Un giacimento paleontologico unico al mondo ... e da valorizzare


La presenza di fossili è una delle peculiarità del nostro territorio, ma perché i fossili sono tanto importanti da farci meritare l'ingresso nella lista dei siti di rilevanza mondiale dell'Unesco? Che cos'è un fossile e cosa rappresenta per la scienza?


DEFINIAMO UN FOSSILE


Viene considerato fossile qualunque resto di un organismo vissuto nel passato o testimonianza della sua avvenuta esistenza (per esempio impronte, nidi, uova, ecc.). Il termine deriva dal verbo latino fodere, che significa scavare poiché i fossili si rinvengono nelle rocce e nei sedimenti. La conservazione di un organismo allo stato fossile non è cosa comune in quanto, normalmente, dopo la morte inizia la decomposizione che porta alla distruzione totale del resto organico. Quando si verifica la concomitanza di diversi fattori, tra cui un rapido seppellimento del cadavere da parte ad esempio di sabbia o fango, può avvenire la fossilizzazione che, tuttavia, richiede milioni di anni. Il processo di trasformazione dei resti di un organismo in fossile può verificarsi secondo diverse modalità. Tra le più comuni vi è la fossilizzazione dovuta a mineralizzazione: il materiale organico originario viene lentamente sostituito da sali minerali, normalmente presenti in soluzioni acquose; durante questa sostituzione la forma e la struttura dell'organismo originario si conservano.

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Le ossa di questo rettile del genere Neusticosaurus si sono conservate per mineralizzazione

 

Altre volte invece si conserva solamente l'impronta che l'organismo ha lasciato sul substrato, per esempio nella fanghiglia di un fondale marino che nel tempo è divenuta roccia.


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Impronta di medusa su Solnhofen limestone - Bürgermeister-Müller Museum


Può capitare anche che delle cavità, come l'interno di una conchiglia, si riempiano di detriti così, una volta decomposta la conchiglia e indurito il sedimento, si otterrà un fossile detto "modello interno".


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Modello interno di un'ammonite

 

Un fossile può chiaramente originarsi in tanti altri modi, ad esempio per mummificazione (dovuta a una forte disidratazione subito dopo la morte) o per congelamento.
I fossili, una volta formatisi, possono restare all'interno delle rocce per milioni e milioni di anni e tornare alla luce solo grazie a movimenti della crosta terrestre e a fenomeni di erosione. Un fossile che giunge in superficie è destinato tuttavia alla distruzione in breve tempo. Ma a volte gli uomini recuperano questi antichi resti! Li osservano, li studiano e cercano di conservarli al meglio poiché si tratta di testimonianze assai preziose, un'unica possibilità per indagare la vita passata; si può infatti trattare di specie che ormai non esistono più o di specie che poi, pian piano, si sono evolute e modificate, fino a dare origine alle forme viventi attuali.

Così i fossili che anche i nostri monti custodiscono ci raccontano di un lontano passato; essi rappresentano i resti "pietrificati" di organismi che, circa 240 milioni di anni fa, erano in vita; essi si trovano ancora racchiusi nelle rocce stratificate, che non sono altro che ciò che è rimasto dell'antico fondale marino sul quale si adagiarono al momento della loro morte.


LE ROCCE FOSSILIFERE DEI NOSTRI MONTI


Nel periodo Triassico l'antico ambiente, corrispondente agli attuali M. San Giorgio, M. Pravello e M. Orsa, era un mare costiero di tipo subtropicale le cui condizioni variarono più volte col trascorrere del tempo: vi fu una fase in cui esisteva una laguna profonda tra i 50 e i 100 metri, a cui seguì l'originarsi di un ambiente di mare basso caratterizzato da un notevole moto ondoso e da abbondanza di alghe, poi di nuovo si tornò a un bacino più profondo e tranquillo. All'incirca 230 milioni di anni fa si creò temporaneamente una fase di emersione. Il mare poi ricomparve nel Triassico superiore e permase fino al termine del periodo Cretacico (circa 65 milioni di anni fa), tranne per brevi fasi di emersione dei fondali.
Le formazioni rocciose che oggi si susseguono sui nostri monti ci permettono di "leggere" questa storia: le rocce fossilifere dette della Formazione di Besano o Grenzbitumenzone (cioè zona limite bituminosa) corrispondono alla prima fase di laguna e sono i livelli più ricchi in fossili. Vi si possono rinvenire straordinari resti di pesci e grandi rettili, ma anche numerosi vegetali e molluschi marini. Segue la Formazione del San Giorgio, costituita da dolomia originatasi nella fase di mare poco profondo. Di seguito compaiono i Calcari di Meride che, a loro volta, comprendono particolari livelli fossiliferi denominati, dal più antico al più recente, Cava inferiore, Cava superiore, Strati della Cassina e, nella parte sommitale, la Kalkschieferzone (cioè la zona dei calcari scistosi). Tutti questi livelli sono ricchi di reperti: pesci e rettili semiacquatici oltre a rari e preziosissimi insetti perfettamente conservati.

colonna stratigrafica

Una colonna stratigrafica schematizza con semplicità i tipi di rocce fossilifere che si susseguono sui nostri monti.

 

 

scisti bituminosi e dolomie

La Grenzbitumenzone è la formazione più ricca in fossili ed è caratterizzata dall'alternanza di dolomie, rocce grigie e di maggior spessore, e scisti bituminosi, strati sottili di colore nerastro - Foto di S. Pezzoli.

 

 

Formazione dei Calcari di Meride

Un affioramento di strati appartenenti alla Formazione dei Calcari di Meride - Foto di S. Pezzoli

 


LA STORIA DEI PRIMI RITROVAMENTI: ROCCE CHE BRUCIANO E ITTIOLO


Da oltre 150 anni i Monti Pravello e Orsa, e in territorio svizzero il Monte San Giorgio, sono oggetto di indagini paleontologiche. In Italia, nella zona di Besano, già a partire dalla seconda metà dell'ottocento, le ricerche del Museo Civico di Storia naturale di Milano e della Società italiana di Scienze naturali avevano portato in luce i primi grandi rettili marini. Successivamente, a partire dagli anni '20 del novecento, anche sul lato svizzero vennero condotte ricerche scientifiche da parte dell'Istituto di paleontologia dell'Università di Zurigo.
Ma come si è scoperta la presenza di fossili in questa zona?
La Grenzbitumenzone presenta, in tutti i suoi 16 metri di spessore, una caratteristica alternanza di strati di dolomia, roccia sedimentaria grigia e compatta, e strati sottili di rocce nerastre, chiamate scisti bituminosi. Questi ultimi risultano tanto ricchi di materia organica da poter bruciare, quasi fossero "petrolio solido".

Scisti che bruciano

Gli scisti bituminosi sono tanto ricchi di sostanze organiche da poter bruciare - Foto di S. Pezzoli

 

Fu questa proprietà a rendere gli scisti bituminosi un materiale ricercato. Tra il 1774 e il 1790 già si andava a caccia di scisti per ottenerne combustibile. Intorno al 1830 si iniziò ad estrarne un gas con il quale si intendeva alimentare un impianto di illuminazione stradale a Milano; il progetto non andò a buon fine ma, grazie agli scavi, i primi fossili erano venuti alla luce destando l'attenzione degli scienziati. Al 1847 risale il primo trattato scientifico, opera del geologo milanese Giulio Curioni, in cui vengono citati i nostri fossili.
I primi anni del novecento vedono un nuovo sfruttamento dello scisto bituminoso: la produzione, per distillazione, di una pomata terapeutica chiamata Saurolo, utile come il più noto ittiolo per curare malattie della pelle e forme lievi di reumatismi. Sorsero così miniere, sia in territorio italiano sia svizzero, che si sviluppavano nel sottosuolo per qualche chilometro. La produzione di Saurolo si protrasse fino alla metà del novecento favorendo, grazie a una continua attività estrattiva, le ricerche e gli studi paleontologici. Parallelamente furono condotte numerose campagne di scavi prettamente scientifici che portarono alla luce una gran quantità di reperti permettendo la stesura di numerose pubblicazioni che fornirono le basi della conoscenza dell'antico ambiente triassico locale e della fauna che ospitava.

Ittiolo

Nella prima metà del 1900 gli scisti bituminosi erano sfruttati per la distillazione di una pomata medicinale, il Saurolo. Per gentile concessione Museo Cantonale di Storia Naturale di Lugano - Foto di S. Pezzoli

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